(OVS) Amore, Sorrisi e Cose Carine; di Questo son Fatte le Bambine…

Pronte e pronti a osservare nuovamente in che modo le aziende di abbigliamento inquadrano e insegnano la femminilità e la mascolinità? A ispirarmi a tornare su questa serie è stata un’email ricevuta da Roberta, che ringrazio tantissimo.

Veniamo a noi, dunque.
Dopo Terranova, Zara, Disney, Benetton e Terranova alla seconda, è la volta di OVS.

Ho deciso di fare un confronto prelevando alcuni design dalle quattro sezioni bimba e bimbo presenti sul sito web (0-9 mesi, 9-36 mesi, 3-10 anni, 10-15 anni). Troveremo qualche schema familiare o resteremo stupite/i dall’assenza di stereotipizzazioni? Scopriamolo subito.


Cominciamo con 0-9, fascia (come anche quella della categoria seguente) in cui bambini e bambine sono notoriamente tutt’altro che spugne che assorbono passivamente informazioni dall’esterno e dispongono di mezzi, conoscenze e consapevolezze per esercitare scelte proprie basate su gusti e preferenze individuali.

0-9 mesi

Pressappoco…è tutto così. Azzurro per i maschi. Rosa per le femmine. Quasi come fosse ovvio, logico e naturale. Quasi come non ci fossero alternative. E in un certo senso è proprio così. Le alternative vengono tagliate via. La scelta è completamente illusoria, da OVS e non solo. I colori hanno un sesso, in alcuni paesi di umanolandia. Il rosa ha quello femminile e l’azzurro quello maschile. Non conta nulla che i corpi sotto i capi siano identici, fatto salvo per i genitali. La classe adulta determina di rappresentare e raccontare il sesso in questo modo, tramite il rosa e l’azzurro (e le scelte di design).
Ma andiamo avanti.

9-36 mesi. Fino ai 3 anni, insomma.

Non devo specificare quali siano le maglie da bimba e quali quelle da bimbo (secondo la cara OVS, si intende). Amore, cuori e sorrisi da un lato. Sport, dinosauri, fantasticità e dinamismo dall’altra. Tu, esplora e gioca! Tu, non muoverti e sorridi!

Osservando l’intera gamma si notano anche differenze negli animali proposti per i due sessi. Cani, orsi e volpi per i maschi. Gatti, scoiattoli, conigli e topolini per le femmine. Non manca Minnie per le femmine e Topolino per i maschi. Perché le bambine possono apprezzare e ammirare solo personaggi femminili e i bambini possono apprezzare e ammirare solo personaggi maschili (e poi ci chiediamo come mai un bimbo possa pensare di avere qualcosa di sbagliato se gli piacciono le principesse. Praticamente lo imploriamo – catene di abbigliamento, marketing e media in primis – di sentirsi sbagliato).

Cambieranno le cose per l’infanzia dai 3 ai 10 anni, secondo OVS?

Chi è invitato a far casino, chi a carineria e gentilezza. Fiorellini, bellezza (ma ribelle con corona glitterosa!1!), unicorni, arcobaleni e sbrilluccicosità per lei, supereroi, avventura e auto per lui.

In più, osservando l’offerta completa, snowboard, dinosauri, Batman, orsi (ancora), Minecraft per maschi; arcobaleni, bamboline LOL, ballerine (danza classica unico sport alla portata delle femmine, a quanto pare) e una marea di fiori.


Passiamo, infine, alla sezione 10-15 anni del sito OVS. Qui i corpi iniziano a cambiare. Se dunque è comprensibile fornire misurazioni differenti per i capi, mentre non lo è nelle fasce precedenti, la (non) logica dietro alla categorizzazione dei design per sesso resta immutata.

Oltre a una spiccata presenza di colori molto scuri per i maschi, possiamo notare amore vs morte, bellezza vs esplorazione, fantasia (unicorni) vs spazio, sentirsi adorabili vs videogiochi, positività vs Storm Trooper.

Ci sono tantissimi design di Star Wars e di supereroi nella sezione per ragazzini. Niente NASA, niente videogiochi, niente eroi per le ragazzine. Ma un sacco d’amore e carineria immersi in glitter, ricamini e paillette però. Quelli sì.


Insomma, come abbiamo potuto vedere, l’offerta di OVS si mostra del tutto invariata rispetto a quella degli altri brand, per quanto concerne il supporto e la propaganda di stereotipi che limitano tutti i bambini e tutte le bambine nel loro essere bambini e bambine, con l’infinita varietà che ciò, per natura, comporterebbe.

Ma perché stabilire l’associazione di due colori specifici e diversi ai due sessi e incoraggiare una netta separazione del tutto priva di fondamento che per di più incanala bimbi e bimbe verso percorsi di comportamento e di espressione di sé rigidi e determinati dall’esterno in base a stereotipi?

È che ci serve, capite? Come facciamo a capire se bisogna dire “Ma che bella che sei!” o “Guarda che ometto!”, proiettando con gesti e parole gli stereotipi che abbiamo a nostra volta assimilato, se i vestiti non ci suggeriscono il sesso del neonato o della neonata? Immaginate che immensa tragedia dover chiedere ai genitori, invece di affidarci a codici culturali assorbiti, per sapere il sesso. Eppure è meno semplice di quanto possa apparire.

Qualcuna e qualcuno di voi forse ha avuto modo di constatarlo (magari anche per esperienza diretta), ma per non pochi genitori, a volte su un piano intimo e inconscio poco conosciuto anche a loro stessi, risulta motivo di vergogna e imbarazzo che il proprio figlio o la propria figlia non vengano immediatamente riconosciuti come tali dalle altre persone. L’aderenza alle convenzioni è sentita come parte di un’efficace integrazione e approvazione sociale, aspetto in fortissima comunicazione con l’ego. In questi casi la mancanza è percepita come propria. Non si sta facendo un buon lavoro come genitori se non si fa capire se nella culla c’è una bambina o un bambino (questa ferita personale viene ben prima dell’eventuale preoccupazione che il figlio o la figlia possano subire commenti sgradevoli a causa del loro non apparire come stereotipi vorrebbero. Invero, quasi sempre non c’è alcuna malizia, ma solo una genuina curiosità perfettamente comprensibile in un tessuto sociale dove gli stereotipi sono la norma quando si interroga sul sesso di un bimbo o una bimba, a prescindere dall’età del/la domandante).
Se questo sentimento vi è familiare e noto perché è o è stato parte di voi, il mio invito non è quello di bastonarvi, ma solo quello di fermarvi e indagare. Andare alla radice dello schema mentale che produce il comportamento.

Oltre a ciò, la codifica cromatica, che poi viene accompagnata da accessori e acconciature diversificati per sesso (a volte combinati con saggezza per compensare. Per esempio, se nostra figlia proprio non ne vuole sapere di tenere i capelli lunghi, via lì di fiocchi, glitter e inserti rosa; che nessuno si azzardi a scambiarla per maschietto), serve a consolare le persone adulte nel culturalmente radicato disagio che associano all’idea di non comprendere il sesso. Non è la non-comprensione, l’ambiguità in sé (per natura inevitabile, fino a una certa età) a crearci problemi, a dispetto di quanto si possa pensare. È il nostro aver appreso set di comportamenti e attitudini diversi da rivolgere a maschi e femmine (sin dall’infanzia). Alla luce di ciò, non sapere immediatamente il sesso significa, a un certo livello, non sapere come comportarci. Ci confonde. Ci destabilizza. Ma invece di affrontare il vero problema e dunque cessare di educare le persone a trattare maschi e femmine diversamente (e qui mi riferisco all’associazione di attributi e qualità diversi in base al sesso; per esempio complimentare l’estetica di una bambina e le capacità di un bambino, regalare una bambola a una bimba che non si conosce…perché è una bambina, dare per scontato che a un bimbo piaccia il calcio, essere più permissivi con i maschi e più rigidi con le femmine specialmente nella concessione di libertà fisiche, ecc.) quello che facciamo, che fanno le aziende, marketing e media, è confermare l’urgenza di trattare diversamente per sesso e semplificare la procedura utilizzando tecniche commerciali di segmentazione per sesso che, per la gioia dei rivenditori, sono estremamente profittevoli, per ragioni facili da capire1.

Allora continuiamo con le bimbe rosa, sorridenti, vanitose, immobili (o al massimo ballerine classiche) e principesse, e con bimbi supereroi, sportivi, avventurosi ed esploratori. E chiudiamo le porte dell’osservazione critica, convincendoci dell’ovvia falsità per cui tutto questo non avrà alcun effetto sullo sviluppo del senso di sé e degli altri (anche in relazione al sesso) nelle menti dei bambini e delle bambine, nonostante l’accumulo di studi e ricerche che dimostrano la verità.

Nel chiudere, un piccolo spunto/consiglio.
Quando ci capita di imbatterci in un/una bebè, prestiamo attenzione a come ci viene spontaneo2 comportarci. Se i genitori non hanno intenzionalmente addobbato il/la bebè come maschio o femmina usando i codici degli stereotipi culturali, vogliamo saperne il sesso? Se sì, come mai? Ci sono ragioni validissime per volerlo sapere (l’italiano è una lingua con struttura fortemente basata sul maschile/femminile, dunque si tratta di un’informazione ragionevolmente utile qualora volessimo, per esempio, raccontare a qualcuno che abbiamo avuto il piacere di incontrare “la figlia” o “il figlio” di Francobalda e Arciligno. Insomma, non è necessariamente un ficcanasaggio inopportuno o privo di senso), ma se vi è mai capitato di osservare persone adulte alle prese con bebè appena incontrati/e, sapete che molto spesso la risposta è seguita da una determinazione dell’atteggiamento, curiosamente in coerenza con gli stereotipi. È possibile che capiti anche a voi, a prescindere dal grado di apertura su questi temi. È un grande e comunissimo errore pensare che solamente persone iper conservatrici o poco consapevoli siano vittime di queste trappole. In questo senso, afferrare la profondità e l’intensità dei condizionamenti può aiutarci anche a essere più compassionevoli con le altre persone. Non è dandoci addosso e insultandoci che cambieremo le cose. Quella del potere al consumatore è solo una grande illusione popolare. Il dito va puntato altrove.

Detto ciò, vi saluto.
Alla prossima e, mi raccomando, occhio agli stereotipi!


1. La ragione è la stessa legata alla diversificazione per sesso dei giochi. Consolidare l’idea che alcuni giochi siano solo per femmine e altri solo per maschi rende difficile, al limite dell’impossibile, francamente (gli esseri umani tendono intensamente al conformismo e soffrono della mancanza dello stesso, spesso più di quanto li faccia star sereni ammettere), il passaggio di suddetti giochi tra fratelli e sorelle, cugini e cugine, costringendo all’acquisto di più unità. Similmente, vostro figlio Marco non vorrà indossare il giubbino rosa con glitter che avete comprato a sua sorella maggiore Rebecca. Diverso sarebbe in una cultura per cui il rosa non equivale a femmina o per cui è reso agevole l’acquisto di capi in colori diversificati, nessuno dei quali associato ai sessi.

2. Spontaneo non significa “genuino” (nel senso di davvero nostro, al di là di influenze esterne). Se abbiamo subito condizionamenti, parole e gesti frutto degli stessi ci sovverranno spontaneamente.

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